Enrico Matteini
UOSD di Dermatologia, Università degli Studi di Roma Tor Vergata
L’alopecia areata è una patologia a carattere autoimmune che colpisce i follicoli piliferi del cuoio capelluto e/o del resto del corpo (ad esempio ciglia, sopracciglia, pube, pieghe ascellari), causando la comparsa di chiazze singole o multiple di alopecia non cicatriziale.1 Nel 75% dei pazienti, l’alopecia areata è limitata al cuoio capelluto, anche se potenzialmente può essere coinvolta qualsiasi area in cui siano presenti follicoli piliferi; tipicamente le lesioni appaiono come chiazze singole o multiple, di forma rotondeggiante, a margini ben definiti, parzialmente o totalmente prive di capelli, tuttavia possono essere riscontrati anche pattern clinici più specifici, come ad esempio ofiasi (perdita lineare dei capelli nella regione temporo-occipitale), sisaifo (perdita lineare dei capelli nella parte centrale dello scalpo), alopecia totale (perdita completa dei capelli coinvolgente l’intero scalpo) o alopecia universale (perdita completa di tutti i peli del corpo).2
L’alopecia areata ha una patogenesi multifattoriale, in cui la combinazione di fattori genetici e di fattori trigger ambientali, come situazioni di forte stress emotivo o psicologico, è alla base di un’iperattivazione del sistema immunitario2. Questo squilibrio immunitario è principalmente mediato dall’iperespressione di IFN-γ ed interleuchina 151,2.
I trattamenti tradizionali per l’alopecia areata di grado lieve includono corticosteroidi topici o per via intralesionale, somministrati sia in monoterapia sia in combinazione con altre terapie adiuvanti, oppure corticosteroidi sistemici3. Nelle forme moderate-severe della patologia, possono essere utilizzate terapie immunosuppressive come metotrexate o ciclosporina3. I trattamenti più recenti prevedono invece l’utilizzo di JAK inibitori topici, come la brevilina (composto di origine vegetale) o sistemici, come il baricitinib, I quali potrebbero rappresentare una terapia più mirata per l’alopecia areata, in quanto vanno ad inibire la via di segnalazione JAK-STAT, una delle principali vie di trasduzione del segnale utilizzate dall’IFN-γ e dall’interleuchina 15.4
La famiglia delle Janus kinasi (JAK) comprende quattro molecole principali (JAK1, JAK2, JAK3, e TYK3) che contribuiscono alla trasduzione del segnale citochinico. Una volta che la citochina è legata al proprio recettore, gli enzimi JAK attivano, mediante fosforilazione le molecole di trasduzione del segnale ed attivazione della trascrizione (STAT). Attualmente sono state identificate sette molecole STAT fosforilate dagli enzimi JAK: STAT1, STAT2, STAT3, STAT4, STAT5A, STAT5B e STAT6. Una volta fosforilate, le molecole STAT dimerizzano e si trasferiscono nel nucleo, dove attivano dei geni di trascrizione portando generalmente ad un aumento della risposta immunitaria. Di conseguenza, l’inibizione della via JAK-STAT porterebbe al blocco del segnale citochinico e di tutti gli eventi che ne conseguono, come l’attivazione dei monociti, la produzione di anticorpi o l’eritropoiesi. Oltre alle già citate interleuchina 15 ed IFN-γ, anche le interleuchine 2, 3, 4, 5, 6, 7, 9, 11, 19, 21 e 23 sono interessate dall’azione dei JAK inibitori.5
I JAK inibitori topici, già utilizzati con successo negli adulti, potrebbero rappresentare un trattamento efficace e ben tollerato anche nei pazienti pediatrici.6,7 Il loro utilizzo è attualmente limitato ai casi di alopecia di grado lieve-moderato, con ofiasi o con un numero limitato di chiazze. Uno dei principali JAK inibitori ad uso topico è la brevilina, un lattone sesquiterpene di origine vegetale, isolato da una pianta medicinale (Centipeda minima), in grado di bloccare l’attivazione dei linfociti T stimolando allo stesso tempo la fase anagen del pelo; il meccanismo d’azione della brevilina si basa sia sull’inibizione di STAT1 e STAT3, impedendo così la trasduzione del segnale, sia sull’inibizione del dominio tirosin-chinasico JH1 degli enzimi JAK, impedendone così l’attivazione.8,9 L’applicazione locale di brevilina due volte al giorno per 3-6 mesi sembrerebbe avere un’ottima efficacia in termini di outcome, con regressione totale o parziale delle chiazze alopeciche, alla quale si associa un elevato profilo di sicurezza, rendendo questo trattamento un’alternativa concreta al trattamento con corticosteroidi topici od intralesionali, il cui utilizzo prolungato, soprattutto in età pediatrica, sottopone il paziente ad un rischio di atrofia cutanea.
Per quanto riguarda i trattamenti sistemici, tra i vari JAK inibitori in commercio l’FDA ha approvato a giugno 2022 l’utilizzo del baricitinib nel trattamento dell’alopecia areata severa e dell’alopecia totale/universale. Il baricitinib è un inibitore delle chinasi ATP-competitivo, che agisce in maniera selettiva e reversibile sugli enzimi JAK1 e JAK2. Questa inibizione porta non soltanto ad un blocco delle già citate interleuchina 15 ed IFN-γ, ma anche ad un’inibizione parziale del segnale dell’interleuchina 2, una delle principali citochine responsabili della proliferazione e della sopravvivenza dei linfociti T-reg attraverso la via di segnalazione JAK1/JAK3; il risultato è quindi una soppressione della funzionalità delle cellule T.5 Attualmente l’utilizzo del baricitinib nell’alopecia areata prevede una somministrazione per via orale di una dose di 4 mg al giorno per un periodo di almeno 6 mesi, considerato il lasso di tempo limite entro il quale è lecito aspettarsi una late response da parte del paziente. Rispetto alle formulazioni topiche, i JAK inibitori sistemici possono provocare alcuni effetti collaterali, tra cui i più rilevanti sono dislipidemia, aumento del CPK ed aumento del rischio trombo-embolico, motivo per cui i pazienti in trattamento necessitano di uno stretto monitoraggio. Sebbene non siano ancora presenti in letteratura molte pubblicazioni a riguardo, i dati attualmente disponibili sull’efficacia e la sicurezza del baricitinib pongono i JAK inibitori sistemici in primo piano come terapia di prima linea nell’alopecia areata severa nel prossimo futuro.
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