Immunoterapia nel trattamento del carcinoma squamocellulare invasivo del distretto testa/collo

Immunoterapia nel trattamento del carcinoma squamocellulare invasivo del distretto testa/collo

Sara Mazzilli, Elena Campione

Clinica Dermatologica,Policlinico di Roma Tor Vergata

Recentemente sono state introdotte nuove strategie terapeutiche per il trattamento dei tumori squamocellulari metastatici del distretto testa/collo.
In particolare l’uso del Pembrolizumab, anticorpo umanizzato inibitore del checkpoint immunologico PD1-PDL1, ha mostrato un buon profilo di sicurezza ed una promettente attività antitumorale nei pazienti con carcinoma a cellule squamose recidivante o metastatico.
Gli anti-PD1 (Pembrolizumab e Nivolumab) sono stati approvati dall’FDA nel 2015 per il trattamento del melanoma avanzato e nel 2016 il Pembrolizumab anche per il trattamento del carcinoma a cellule squamose recidivante/metastatico della testa e del collo.

Gli anticorpi anti-PD-1 e anti-PD-L1 potenziano la risposta immunitaria bloccando l’interazione tra la proteina PD-1, recettore co-inibitorio della cellula T ed uno dei suoi ligandi, il PDL1, impedendo così alle cellule tumorali di eludere il sistema immunitario dell’ospite.
PD1 (espresso sulle cellule T) e il suo ligando (PDL1) espresso sulle cellule presentanti l’antigene (APC), inibiscono l’attivazione dei linfociti T CD4 e CD8. L’anticorpo umanizzato blocca il complesso PD1/PDL1 e riattiva la risposta immunitaria contro le cellule tumorali.
Il ligando del recettore PD1 risulta essere iperespresso nei carcinomi squamocellulari ed è per questo motivo un bersaglio di queste nuove terapie target. La via di progressione della malattia è strettamente correlata con la capacità di eludere la sorveglianza immunitaria tramite la produzione di mediatori immunosoppressori. Il rischio di insorgenza dei carcinomi squamocellulari metastatici, infatti, è di 6 volte superiore nei pazienti immunodepressi. L’esposizione ai raggi ultravioletti favorisce il mantenimento di un stimolo immunosoppressivo localizzato, attraverso la riduzione dei livelli di cellule di Langheranscircolanti e dell’alterazione della rispostaTh1-Th2. Una maggiore comprensione della disregolazione del sistema immunitario nella progressione del carcinoma squamocellulare testa/collo, costituisce la base per il perfezionamento delle terapie. L’alterazione immunitaria del microambiente cellulare indotta dal carcinoma squamocellulare si estrinseca tramite due diversi meccanismi: un’alterata omeostasi linfocitaria (ridotti livelli di CD3,CD4 e CD8) con un aumento della secrezione del TGF-B ed un’alterazione della funzione delle cellule Natural Killer (NK).
È dibattutto il ruolo delle cellule Foxp3+ nell’evoluzione dei carcinomi squamocellulari del distretto testa/collo, per il loro potente effetto  immunosoppressivo. Una recente metanalisi conferma il peggioramento della prognosi di questo tumore in presenza di linfociti T reg FoxP3+ che esprimono il PD1. Un altro elemento importante è rappresentato dalla down-regolazione del sistema maggiore di istocompatibilità HLA e dalla riduzione delle cellule APC.
Sono attualmente in corso nuovi trials clinici randomizzati per il trattamento dei  carcinomi squamocellulari metastatici con inibitori del PD1.
Lo studio Keynote-012 (primo studio sperimentale sul trattamento dei tumori squamocellulari metastatici) attualmente ongoing, ha dimostrato un aumento della sopravvivenza libera da malattia di 13 mesi rispetto ai pazienti non trattati. L’evento avverso più comune è stato l’aumento degli indici di funzionalità epatica, alterazioni elettrolitiche e severa spossatezza. Nei trials in corso si sta valutando da una parte l’efficacia di Pembrolizumab (in monoterapia) vs terapia standard scelta dallo sperimentatore (metotressato, docetaxel o cetuximab) in pazienti già trattati con la chemioterapia a base di platino non responders, e dall’altra il Pembrolizumab, come trattamento di prima linea in aggiunta alla chemioterapia citotossica tradizionale (carboplatino+5fluorouracile; cetuximab+carboplatino+5-fluorouracile).

In alcuni di questi studi sperimentali è stata valutata anche l’espressione del ligando solubile del recettore (PDL1)che rappresenta un fattore predittivo di risposta al trattamento.
L’identificazione di biomarkers predittivi valutati anche in questi studi clinici randomizzati (PDL1), riveste un significato fondamentale nella pratica clinica in termini di efficacia e personalizzazione della risposta al trattamento. 

Bibliografia

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